Il capitolo sulle città sarà relativamente breve. Non ci sono siti “moderni” che catturano particolarmente l’attenzione. La sensazione è che la miriade di civiltà che hanno occupato la Sardegna si siano impegnate a prendere ciò di cui avevano bisogno e a lasciare ben poco a testimonianza del loro passaggio. La stessa dominazione romana, che si espanse ben oltre i confini attuali d’Europa, non si impegnò nella conquista dell’interno dell’isola. Probabilmente troppo impervia e poco utile come terreno di coltivazione.
Tutte le civiltà che provarono a dominare la Sardegna si trovarono di fronte la fierezza del popolo sardo che, senza abbandonare le tradizioni ancestrali, ha continuato a sopravvivere nel cuore dell’isola.
Cagliari
Cagliari è uno dei porti più importanti del Mediterraneo e il fitto rimaneggiamento che ha avuto nel corso dei secoli le hanno lasciato una vaga atmosfera di indefinito.
La zona del castello, costruita dai pisani, è il centro storico vero e proprio della città dove le antiche mura difendono ancora il capoluogo dagli sguardi indiscreti di chi si avvicina dal mare.
Il quartiere sopraelevato aveva in passato orari prestabiliti in cui c’era libero accesso, finita l’utilità del lavoro i sardi dovevano uscire dalle mura e lasciare la cittadella ad uso esclusivo dei conquistatori di turno (pisani o genovesi).
I viali che si affacciano sul porto sono il salotto della città; dall'ombra dei numerosi locali sotto i portici, i giovani cagliaritani controllano che nessuno arrivi dal mare a spezzare un equilibrio tanto agognato.
Quello che mi ha sorpreso di Cagliari sono state le scritte e i disegni che compaiono sui muri, anche nella parte più antica. Spesso, però, sono costituite da simpatiche grida di denuncia!
Oristano è un paese in cui il passato è svanito insieme all'utilità che aveva l’ossidiana nel mondo antico. Non appena i metalli hanno soppiantato le pietre, il declino è stato lento e inesorabile per entrambe.
Probabilmente costruita nell'entroterra per cercare rifugio dai continui assalti dei pirati saraceni, oggi in centro trova spazio ben poco dell’antico fasto.
Il museo archeologico merita una visita soprattutto per la collezione di bronzetti nuragici (alcuni originali, altri copie messe in vendita a scopo di lucro agli inizi del ‘900), queste statue votive rappresentano spesso la documentazione più completa giunta fino a noi riguardo usi e costumi di questa civiltà scomparsa. I bronzetti venivano fusi e donati alle divinità come dono per chiedere qualche favore o come ringraziamento per qualche grazia ricevuta. Sorprende vedere quanto poco sia cambiato in 5.000 anni di storia.
Carbonia è stata la nostra base per la visita del Sulcis-Iglesiente. Eravamo curiosi di scoprire una città nata meno di 100 anni fa come “ricovero” per tutte le povere anime impegnate nelle nuove miniere presenti in zona. In base a scelte discutibili del regime fascista, alcuni stati europei ci vietarono l’acquisto delle materie prime come il carbone, senza il quale, in quel periodo storico, non avremmo avuto energia. Le miniere di carbone sarde erano già note da secoli, ma la qualità era talmente bassa e i costi di estrazione talmente alti, che da tempo erano state abbandonate. Si sa, però, che in periodi di crisi tutto viene utile, compreso il carbone (lignite) sardo.
Così nel 1936 o giù di lì, qui in Sardegna nacquero Carbonia e Mussolinia, a cui, dopo la caduta del regime fascista, venne cambiato il nome in Arborea.
Piazza Roma era il fulcro della nuova città e, immagino, di tutte le altre città fasciste. La piazza è ancora ben conservata e su questa prendono posto il palazzo comunale, la torre littoria (ormai adibita a spazio per uffici del comune), il teatro Centrale, la chiesa principale intitolata a San Ponziano e il campanile.
Proprio il campanile ha una storia curiosa da raccontarci: venne costruito ad immagine e somiglianza (forse solo un po’ più basso) del campanile di Aquileia poiché durante la prima guerra mondiale i valorosissimi soldati sardi, impegnati a difendere il confine italiano sul Piave, lo vedevano come un miraggio da voler raggiungere a tutti i costi, ai danni del nemico austriaco. Il problema è che dalla riva del Piave, dove la brigata era accampata, il campanile non si vede.La storia raccontata sulla targa alla base del campanile, costruito in rossa trachite sarda, è una favola propagandistica in puro stile fascista.
La zona a sud di piazza Roma era adibita al settore dirigenziale delle miniere, vi trovano posto villette costruite in serie in cui l’architettura di primo ‘900 la fa da padrone. Proprio nella casa un tempo abitata dal direttore della miniera trova posto l’interessante Museo archeologico di Carbonia (di cui ho già parlato).
Nella zona in cui avevamo il nostro alloggio, a sud ovest rispetto a piazza Roma, tra la città e gli impianti sportivi di via Balilla, c’erano i casermoni in cui alloggiavano gli operai con le loro famiglie. Si tratta di sei edifici identici, alcuni riutilizzati a scuole ed uffici, in cui trovavano posto almeno 30 famiglie ciascuno.
Le origini del moderno centro abitato di Carbonia e l’architettura, che ancora è ben visibile, ne fanno un paese interessante da vedere. Nonostante tutto quello che si può pensare del periodo da cui Carbonia proviene, anche qui si respira la Storia del nostro paese.
Dal punto di vista strettamente umano, la cittadina era poco “infestata” dai turisti e una serie di piccoli locali e ristoranti ci ha reso il soggiorno veramente molto piacevole.
Calasetta, all'estremità settentrionale dell’isola di Sant'Antioco, ha una particolarità che condivide con Carloforte, sulla vicina isola di San Pietro.
Questi due paesi, al pari di Carbonia, hanno origini relativamente recenti e vivono in un’atmosfera estranea alla Sardegna.
Nel 1549alcuni pescatori di corallo si trasferirono da Genova in Tunisia, sulla piccola isola di Tabarka, per due secoli fecero affari con il commercio del corallo, ma quando la situazione politica in Tunisia mutò, furono costretti a fuggire.
Per il popolo dei “tabarchini” il rientro in Liguria era ormai impossibile, sebbene avessero mantenuto lingua e tradizioni di origine. Trovarono asilo a Sant'Antioco e San Pietro dove l’allora Re delle due Sicilie diede loro ospitalità; nacquero così Calasetta e Carloforte dove tuttora le case, il cibo e la lingua conservano spiccati caratteri genovesi.
Non abbiamo passato tanto tempo a Calasetta per capire quanto di genovese fosse rimasto nella loro lingua, ricorderemo per sempre questo paese per un dettaglio: gli spaghetti con arselle (vongole veraci) più buoni che abbiamo mai mangiato in vita nostra.
Iglesias, com'è facile intuire, deve il suo nome alla dominazione spagnola. Significa “Chiese” ed è un nome che, all'epoca, doveva calzargli a pennello. In effetti, prima dell’arrivo degli spagnoli, questo paese era chiamato “città delle Chiese”.
Quello che colpisce di Iglesias è l’impronta spagnola tutt'ora visibile nel piccolo e bellissimo centro storico. Vie strette con alti palazzi, balconi in ferro ad ogni finestra, leggermente sporgenti sulla strada. Facciate dei palazzi dai colori accesi e chiese di un’esuberante decorazione barocca, almeno all'esterno. E poi il nome: “Iglesias”. Più Spagna di così!
Muravera, sulla costa orientale della Sardegna, è stata la nostra base per scoprire il Sarrabus-Gerrei. Il paese non ha nulla di eclatante se non qualche casa costruita nel ‘700 che ancora domina fiera i vicoli del paese. Ma Muravera è la patria degli agrumi sardi e, per pura fortuna, ci siamo trovati ad alloggiare nella pace di un agrumeto: “Alla giusta distanza dal traffico ed i rumori del centro”, come ci ha detto una splendida padrona di casa.
Muravera è un’ottima base di partenza alla scoperta del mare sardo per buona parte, in questa zona, ancora poco sfruttato.
E proprio il mare sarà l’oggetto del prossimo capitolo. La progressione che darò sarà dalla spiaggia più deludente a quella che ci è piaciuta di più. Intendiamoci: stiamo parlando di calibri enormi!
Improbabili saluti, proprio qui che la Spagna ha regnato per secoli! |
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