mercoledì 9 settembre 2020

La strana Storia della Sardegna...



Sulcis e Iglesiente, Sarrabus e Gerrei… anche i nomi di questa terra sembrano provenire da un altro mondo. E, in effetti, la Sardegna è un mondo a parte, lontano dal continente e quasi autosufficiente.
La storia della Sardegna si perde indietro nei millenni, una nebbia la nasconde. O forse no?! Fatto sta che la testimonianza unica dei Nuraghe è un vessillo che i Sardi sbandierano un po’ ovunque. Testimonianza di antenati operosi e originali rispetto a quanto l’età del bronzo e del ferro hanno lasciato nel resto del Mediterraneo.


Per questo viaggio io e la mia famiglia avevamo un programma di massima, cose che avremmo voluto vedere e spiagge sulle quali ci saremmo voluti svegliare. Ma spesso i programmi sono fatti per essere disattesi; quando le attese sono soddisfatte, ci si può comunque ritenere contenti.

Il viaggio tra le rovine della civiltà nuragica è senz'altro affascinante, non fate però l’errore di arrivare impreparati o tutto vi sembrerà un accumulo di macerie e, se la guida non è “quella giusta”, rischiate di perdervi una parte interessante di quella Storia che non viene studiata a scuola (se non qui sull'isola).

I Nuraghe, dicevamo: questa particolare struttura in pietra è quanto di più caratteristico riuscirete a trovare in Sardegna, molto più del mirto, del pecorino sardo e del maialino.

In tutta l’isola sono stati censiti oltre 7.000 siti archeologici, di cui 5.000 sono nuraghe; di questi 5.000, sono alcune decine sono stati scavati e sono visitabili, gli altri sono attualmente allo stato di rovine o quasi completamente ricoperti da terra e vegetazione.

Com'è sempre accaduto nel procedere della Storia, i resti di antiche civiltà, le strutture preesistenti, sono state riutilizzate, riadattate o smembrate dalle civiltà che le sono succedute. Questo è successo anche in Sardegna e la maggior parte dei nuraghe è stata utilizzata come materiale da costruzione per i nuovi edifici.



I nuraghe ancora in piedi e visitabili sono spesso all'interno di parchi archeologici e, se avete voglia di farvi un’idea di “cosa sono”, non vi resta che andare a cercare i più famosi. Dopo, ma solo dopo, potete avventurarvi alla scoperta degli altri nuraghe, quelli che dominano le campagne, le alture o le spiagge, dove non c’è nessuna guida a raccontarvi la storia di quelle arcaiche torri di pietra.

Nuraghe ricostruito
Si, perché la prima funzione dei nuraghe era il presidio del territorio, avevano la stessa funzione che i castelli avevano nel Medioevo.
Proprio come i castelli fungevano da fortificazioni, da manieri, da granai e da luogo di potere di comunità che dal medio e tardo bronzo si affacciavano alla Storia più recente.

Il sito del nuraghe e del villaggio di Barumini è il più conosciuto ed il più visitato. Da diversi anni è stato inserito nella lista dei patrimoni mondiali ed è una visita che senz'altro va fatta, soprattutto per la spettacolarità della struttura e per la bellezza del paesaggio che la circonda. In effetti collina marnosa di forma conica di Las Plassas ne costituisce un particolare importante del paesaggio circostante.



La visita al sito, non appena vi si riesce ad accedere, è senz'altro interessante, ma l’affollamento di turisti in alta stagione vi permetterà di ascoltare la guida e di seguire attentamente le sue ferree direttive (siamo pur sempre assediati da un virus potenzialmente pericoloso).


Altra cosa se si parla di siti “minori”: può capitare che la visita al nuraghe di Villanovaforru, anche in alta stagione, possa essere fatta da soli con la guida. Guida esperta di quanto ci stava presentando, ma anche persona piacevole con cui scambiare impressioni sulla storia nuragica, sulla Sardegna e sul patrimonio peculiare dell’isola.

Quello che resta del nuraghe di Villanovaforru è ben poca cosa rispetto a Barumini, sebbene presenti, come il fratello più famoso, una struttura “complessa”, ossia il nucleo centrale è formato da una torre principale e da tre torri minori collegate da mura possenti. I nuraghe “complessi” erano solo quelli più importanti che, probabilmente, si ponevano alla guida di una certa regione strategica. Qui a Villanovaforru l’altura su cui è stato costruito il nuraghe permette il controllo della zona che va da Oristano a Cagliari: la regione denominata Medio Campidano. Nella preistoria, la presenza di un vulcano estinto, aveva permesso un fiorente commercio di ossidiana, una pietra lavica scura che costituiva l’unico utensile dell’epoca. In base alle dimensioni della pietra era possibile ricavarne asce, coltelli e punte di freccia. Per capire quanto era fiorente il commercio di questa pietra basta pensare che l’ossidiana oristanese è stata ritrovata in Spagna, nord Africa e Medioriente!




Altra particolarità del sito nuragico di Villanovaforru è che non è stato abbandonato progressivamente, come per la stragrande maggioranza dei siti che si conoscono, ma venne abbandonato subito dopo un incendio che lo distrusse completamente. La sfortuna abbattutasi su un paese ha fatto la fortuna dei visitatori odierni: all'interno della casa più grande del villaggio, infatti, sono stati ritrovati un numero enorme di suppellettili ed oggetti quotidiani che hanno permesso agli archeologi di fare molta chiarezza sugli usi e costumi di una civiltà che, non usando la scrittura, ci era praticamente semi-sconosciuta.

E’ possibile osservare la maggior parte del vasellame e dei reperti ritrovati nel museo archeologico di Villanovaforru, a meno di un chilometro di distanza dal nuraghe.

Durante la visita al sito abbiamo saputo in anteprima che gli archeologi, che stanno ancora lavorando agli scavi del villaggio nuragico, hanno identificato dei resti di uva in un edificio probabilmente adibito alla produzione del vino. La notizia è uscita il 15 agosto sul quotidiano ufficiale della regione, ben quattro giorni dopo la nostra visita!



Altro sito archeologico che vale la pena visitare è quello di Santa Cristina a Paulilatino (pochi chilometri a nordest di Oristano). Nel sito si può visitare, oltre al nuraghe “semplice” (ad una sola torre), un vero e proprio luogo sacro che, anche nel corso delle varie civiltà che si sono succedute, non ha mai perso la sua sacralità.

Vista aerea della Fonte Sacra

Il sito archeologico è famoso per il “Pozzo sacro” di Santa Cristina (il nome è stato attribuito in base alla chiesa che, nei secoli successivi, è stata costruita nelle vicinanze): si tratta di uno dei pochi esempi perfettamente conservati di un tempio adibito al culto dell’acqua, elemento sacro per molte culture, compresa quella nuragica. Di solito questi templi venivano costruiti in prossimità di sorgenti d’acqua, queste sorgenti venivano protette con dei veri e propri templi, spesso scavati sotto il livello del suolo e ai quali potevano accedere solo i sacerdoti preposti.



Non è una novità che le popolazioni antiche venerassero l’acqua, da sempre fonte di vita e risorsa primaria per l’instaurarsi di una civiltà in un determinato luogo.

Nello stesso sito, come ho anticipato, è possibile visitare un nuraghe ad una sola torre, per questo definito “semplice”. Il sughereto che lo nasconde, se avete la fortuna di fare la visita in solitaria, rende il posto estremamente “intimo”. E’ consentito l’accesso al nuraghe e alla sua camera principale con soffitto definito “a tholos” o a “falsa volta”. Si tratta di una copertura ad anelli concentrici di pietre che tendono a restringersi fino alla sommità, dove la volta è chiusa da un’unica pietra.

Tra le spesse mura perimetrali è ricavata la scala che portava alla terrazza sommitale o al piano superiore, ormai scomparso.

Nella zona più prossima alla biglietteria è possibile vedere il piccolo “borgo” medievale con, al centro, la chiesa di Santa Cristina (da cui il sito prende il nome. Le piccole case laterali erano adibite all'alloggio dei frati).



Sulla strada tra Nuoro e Oristano è interessante fare una piccola deviazione a Mamoiada. Qui, nel 1997, venne ritrovata del tutto casualmente una stele conosciuta come “Sa perda pintà”: la pietra dipinta.
Si tratta di una lastra incisa (non è né un menhir, ne una stele) in cui spiccano diverse figure a cerchi concentrici scolpiti con un un’incisione rettilinea che interseca i cerchi, terminando in un’appendice arcuata.
L’interpretazione più attendibile collega la “stele” ai riti dell’acqua, fonte di vita e che sgorga copiosa in queste zone. L’incisione è una perfetta rappresentazione delle onde concentriche che si formano sulla superficie dell’acqua quando viene toccata con la punta di un bastone.



Tra i nuraghe “liberi” che ho incontrato sul mio cammino, di sicuro il più bello, per stato di conservazione (probabilmente restaurato) e per posizione è stato quello di Nuraghe Asoru o Basoru.
Percorrendo la statale in cerca di spiagge il panorama di campi coltivati, colline di arbusti, qualche isolata abitazione e la visione di questa torre nuragica imponente, rende facile scivolare indietro di secoli fino ad immaginarsi catapultati nella preistoria sarda.
Il nuraghe sorge attaccato ad una via di comunicazione, ma non ci sono recinti da scavalcare, bisogna solo arrampicarsi sulle pietre che costituivano la base (probabilmente di rinforzo alla torre principale) e godersi la storia in solitaria.



Benché Carbonia fu fondata solo nel 1936 dall'autoritario governo di allora (di cui parlerò in un altro capitolo), nella zona intorno alla città si sta riscoprendo un sito archeologico che ne sposta indietro la “nascita” di circa 3.000 anni.
Il sito archeologico di Monte Sirai è un luogo davvero unico e, con millenni di anticipo, ci parla di integrazione tra popoli diversi e lontanissimi tra di loro (soprattutto per quell'epoca).

Come fare per scoprirne la storia? La visita al museo archeologico di Carbonia (condotta con la fortuna di una guida personale) permette di svelare i segreti del sito. Gli archeologi raccontano di un nuraghe, sempre presente in villaggi di questo periodo storico, Nuraghe quasi completamente distrutto. Ma raccontano anche di case dove abitavano cittadini autoctoni e case in perfetto stile Fenicio, dove la popolazione Mediorientale viveva e costituiva una testa di ponte commerciale con il popolo di origine. Dal sito ufficiale si legge:
"Testimonia il risultato dell’integrazione di una comunità sardo-fenicia, come mostra l’architettura mista delle costruzioni e le ceramiche d’uso ibride."
Gli archeologi raccontano anche di case adibite ad officine dedicate a lavorazioni esclusive come ceramica e pelli che, probabilmente, venivano esportate fino in Libano grazie agli scambi commerciali che l’antico “gemellaggio” aveva sancito. Stiamo parlando di civiltà dell’era del Bronzo o giù di lì, che avevano trovato il modo di vivere pacificamente ed integrarsi sulle coste della Sardegna.


Altro sito archeologico di rilievo nel sud della Sardegna è quello di Nora, la più antica città della Sardegna. Venne fondata dai Fenici nel IX secolo a.C., l'area archeologica si trova pochi chilometri a sud di Cagliari, circondata dal mare e dalla macchia mediterranea.
La posizione strategica per i commerci marini fece sì che Nora venne abbandonata solo nel medioevo, la successione delle civiltà che la abitarono hanno lasciato un mosaico di edifici che tutt'ora riconoscibili. Il tempio cartaginese, il teatro e le terme romane, le fondamenta della basilica bizantina.
 La maggior parte dei reperti ritrovati a Nora è esposta al museo archeologico di Cagliari; tra questi una stele alla quale viene attribuita la più antica attestazione del nome Sardegna. Nella seconda riga, da destra verso sinistra, si legge "NDRS": ShRDN = Sardegna.





L’ultimo sito archeologico che vi voglio proporre è il parco archeologico di Pranu Mutteddu a Goni: un sito che ci parla del culto dei morti, molto sviluppato nella civiltà nuragica.

La zona del parco in cui è necessario pagare il biglietto permette la visita di tombe a forma di cerchi concentrici, lunghe file di menhir e steli enormi infisse nel terreno. Un sito megalitico in cui l’energia della terra e la sacralità della morte sono tuttora tangibili: il sito impone ancora una sacralità che il tempo ha solo sopito e per la visita viene quasi naturale rispettare il silenzio che il luogo sembra imporre.

Nella fase più antica di questa civiltà, i siti sepolcrali erano vere e proprie camere scavate nella roccia, dove il defunto, messo in posizione fetale e cosparso di una pasta color ocra, veniva “ricondotto” nel ventre della terra per rinascere ad una nuova vita.
Questo tipo di sepoltura è oggi famoso come Casa delle Fate (Domus de Janas); sepolture che, nel corso dei secoli, sono state spesso riutilizzate fino al Medioevo.

Nel sito di Pranu Muteteddu se ne possono vedere diverse semplicemente addentrandosi nel parco, in una zona dove la visita è soggetta solo all’attraversamento di un cancello.
La distanza delle domus de Janas da tutto il resto e il silenzio imperante nella zona mi hanno fatto perdere il senso del tempo, tanto che, una volta scattato l’allarme, stavano per arrivare i soccorsi!

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